
Congressi. Li conosci, sai che sono così e li eviti: ogni tanto, però, te ne becchi uno quando meno te lo aspetti, come prendersi il raffreddore nella metro all’ora di punta. Gadget inutili, acri di depliant che nessuno leggerà, loghi serigrafati su penne e cravatte, borsa ecologica con il visual brand dello sponsor, cravattatissimi abbronzati manager, che sembrano tutti tornati ieri dalle Maldive.
Orgie di lussuose scarpe inglesi in cuoio nero, vestiti su misura di quel grigio tendente al blu che fa classico ma attuale, nodi di cravatte stirati e perfettamente in tiro, polsini e colletti bianchissimi. Donne chiffonate di camicette optical di seta e tailleur scuri con scarpe tacco 12 oppure bassissime, per le più sportive. Teoremi di ciglia finte e mascara. Pose fintamente distratte, come se lì ci fossero capitate per puro caso.
E arriva puntuale uno di questi manager che sale sul palco e, parlando degli effetti della crisi economica, ci gratifica della sua presenza santificandoci con le solite, inutili, prosaiche e tronfie cazzate.